Scendo dall’aliscafo e seguo il flusso dei passeggeri. Ad accogliermi, la chiesa gialla dai profili intonacati di bianco.
Un ricordo affiora alla memoria: Il traghetto in manovra di attracco e dall’alto del pontile ci sono io che osservo con curiosità la piazza. La mia attenzione viene catturata da una Chiesa gialla e da un bar con qualche tavolino all’aperto, di quelli con la marca dei gelati sopra.
Mi informo, entrando con un po’ di timore provando anche un principio di imbarazzo, dentro ad un locale, quello che penso una volta fosse il bar della chiesa. La prima impressione che mi restituisce è quello di un luogo frequentato , potrebbe essere un ufficio turistico, ma non ne ho la certezza, nessun depliant pubblicitario sugli scaffali o mappa dell’isola appesa al muro.
Una persona, dietro la scrivania, riesce a fornirmi l’informazione che speravo di ottenere. Ho la netta sensazione che sia la milionesima volta che risponde alla stesso domanda. << Sulla sinistra c’è una panchina. Aspetta li>>. Mi sento una sprovveduta e anche una scocciatrice quando formulo una seconda richiesta.
In tutta risposta, come se anche questa fosse una domanda già sentita mille e passa volte, la persona dietro la scrivania, fin troppo paziente mi risponde ciò che non poteva che risultare ovvio:<< Sul pulmino!!>>
Saluto e esco nuovamente sulla piazza. Adesso che ho con me le certezze di cui avevo bisogno, mi siedo sulla panchina e aspetto. Oggi mi sembra di avere fatto solo questo. 1 ora seduta in aereoporto, 2 ore sull’aereo, 2 sul pullman, 1 ora al porto e quasi 2 ore sull’aliscafo. Spero solo di non dover attendere l’arrivo del pulmino, su questa panchina ancora 2 ore.
Ne approfitto per guardarmi in giro. Il cielo è denso di nubi scure che smorzano la luce del tardo pomeriggio. Il mare è del colore del ferro, scuro e immobile. a terra l’asfalto è bagnato, segno del passaggio recente della pioggia. Quasi nessuno in giro.
Sono trascorsi, 35 anni, dall’ultima volta che ho messo piede a Salina. Qualcosa potrebbe essere cambiato. Eppure il mio viaggio nei ricordi sembra, per ora, essersi preso una pausa.
Mi rivolge la parola un signore anziano. Il retro della sua auto è carico di merce, credo abbia appena smontato il banco. Mi domando quale sia, la lunga storia che lo ha portato così lontano dalla sua terra. Sarebbe un onore restare ad ascoltare, ma non credo di avere molto tempo prima che arrivi il pulmino. Almeno questo è quello che spero. Inoltre mi sentirei una persona invadente a fare domande così personali e inopportune ad uno sconosciuto incontrato per caso.
Si congeda da me con un sorriso sincero, che sa di fatica. Lo vedo allontanarsi.
Chiudo gli occhi e ascolto; Il mare è silenzioso e la natura in generale sembra si sia presa una pausa.
Una ragazza, più o meno dell’età del mio figlio più grande, porta a spasso il cane e il mio pensiero vola a casa.
Chissà chi è uscito in passeggiata con Peach, la nostra cagnolona fantasia.
Sentiranno la mia mancanza? Sono certa che stiano bene e che in questa settimana di assenza se la caveranno egregiamente.
Anche senza di me.
Alcuni ragazzini arrivano e salgono sul pulmino che va nella direzione opposta. Portano lo zaino di scuola e si conoscono tutti.
Accanto a me si siede una signora. non è sola. Le fa compagnia una cagnolina molto piccola che tiene in braccio. Trema. <<Si chiama Titti>> mi risponde la signora su richiesta. Lei invece è Stefania. è di Milano e soggiorna per qualche giorno in un albergo di Lingua.
Le dico che anche io sono diretta a lì.
Saliamo sul Pulmino. Chiedo, seguendo il consiglio di Loredana, per gentilezza al conducente, di lasciarmi davanti a Casa Ofria.
Non incontro nessuna resistenza.