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Una gemma sull’asfalto
Sono trascorsi non più di 20 minuti da quando ho percorso questa strada a salire e della lumaca non vi era traccia alcuna. Si sta avvicinando alla linea bianca che divide in due la carreggiata. La vedo, mi fermo, la osservo con attenzione. Un guscio enorme sovrasta un corpo che si allunga sull’asfalto. Immobile, spera di rendersi invisibile . Potrei essere un serio pericolo per la sua sopravvivenza, una grave minaccia. Coraggiosa come poche non si sottrae al mio sguardo. Ma il suo destino, risiede nel verificarsi degli eventi, io sono solo una delle infinite possibilità. Una si presenta prepotente nella mia testa. Corre veloce come una gomma sull’asfalto. Provo tristezza e paura. La chiocciola non ha alcuna possibilità se la traiettoria del destino si allinea al suo guscio. Fortunatamente in questa domenica mattina di paese dove circolano più lumache che automobili riesco a trovare anche il tempo di fotografarla. Sullo sfondo il panorama, ad esclusione dei bus di linea posteggiati, si apre sulla valle del Trigno.
Mi accorgo solo ora del carico prezioso che trasporta. Una gemma, un semplice petalo.
Questa volta, Il destino ti ha sollevato per mano mia. Ti deposito sull’erba alla fine della carreggiata, ti saluto e mi riavvio. Forse ho cambiato il tuo destino, sicuramente ho cambiato il mio. Ho il cuore che vola leggero come una piuma al vento.
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Una gemma sull’asfalto
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Sono trascorsi non più di 20 minuti da quando ho percorso questa strada a salire e della lumaca non vi era traccia alcuna. Si sta avvicinando alla linea bianca che divide in due la carreggiata. La vedo, mi fermo, la osservo con attenzione. Un guscio enorme sovrasta un corpo che si allunga sull’asfalto. Immobile, spera di rendersi invisibile . Potrei essere un serio pericolo per la sua sopravvivenza, una grave minaccia. Coraggiosa come poche non si sottrae al mio sguardo. Ma il suo destino, risiede nel verificarsi degli eventi, io sono solo una delle infinite possibilità. Una si presenta prepotente nella mia testa. Corre veloce come una gomma sull’asfalto. Provo tristezza e paura. La chiocciola non ha alcuna possibilità se la traiettoria del destino si allinea al suo guscio. Fortunatamente in questa domenica mattina di paese dove circolano più lumache che automobili riesco a trovare anche il tempo di fotografarla. Sullo sfondo il panorama, ad esclusione dei bus di linea posteggiati, si apre sulla valle del Trigno.
Mi accorgo solo ora del carico prezioso che trasporta. Una gemma, un semplice petalo.
Questa volta, Il destino ti ha sollevato per mano mia. Ti deposito sull’erba alla fine della carreggiata, ti saluto e mi riavvio. Forse ho cambiato il tuo destino, sicuramente ho cambiato il mio. Ho il cuore che vola leggero come una piuma al vento. -
Come in un sogno
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Questa notte è trascorsa formulando pensieri che sanno di meraviglia, ma questa mattina gli stessi fuggono alla tastiera. E’ come un incanto del momento, perso il quale, è impossibile il recupero. Mi ritrovo così a combattere una guerra interiore tra la salute fisica del riposo notturno ( che riposo non è, visto che mi sveglio ad ogni ora e fatico a riprendere sonno) e l’alzarmi a scrivere per imprimere in maniera indelebile ciò che il mio inconscio suggerisce.
Sono combattuta tra la parte razionale fatta di quotidianità familiare e quella creativa che risiede nell’ombra della notte.
Cosa avverrebbe se dessi più credito a quest’ultima?
Verrei a contatto con quella parte di me che tanto mi attrae ma che spesso mi sfugge.Se fosse l’io, il mio vero sé, che dal profondo delle tenebre tenta di percorrere quella strada priva di influenza ma preda solo dell’intuito?
Sarebbe forse quella, la sacra strada verso la verità e la conoscenza?
Se così fosse, allora io sto girando le spalle a me stessa e la conseguenza è una vita confusa.Se quella voce interiore che mi suggerisce immagini così vive nel sonno fossero aiuti che mi concedo per fare chiarezza?
Rifiutandomi di ascoltarle mi sto auto-sabotando.
Non sarò mai libera di scegliere se mi rifiuto di vedere.
Stavo lavorando al racconto. Era tutto il pomeriggio che le dita si concentravano sulla tastiera del portatile. Intorno a me, rumori di televisioni accese a volumi elevati. Trasmettono la partita. Le mura del palazzo lasciano entrare in camera frammenti di vita di altri.
Indosso un paio di auricolari, accendo la musica, caccio fuori il mondo e continuo a scrivere.
Ogni tanto rivolgo lo sguardo alla finestra, è una bella giornata di sole.
Con questa luce cristallina che riflette e lascia risplendere tutto ciò che incontra, stare chiusa trasforma la mia camera in una gabbia. Ma desidero terminare il lavoro.Vorrei fare come il mio gatto che sale sul tavolo per bere l’acqua dalla ciotola. Non si preoccupa se è quella a lui dedicata o quella con le olive messe lì a spurgare. Ha sete, beve, ha voglia di uscire, esce.
Io ho voglia di uscire, penso.
Mentre sono ancora lì bloccata in questa situazione indefinita, osservo sorpresa entrare nella mia stanza un gruppo di 6 donne. Alcune si siedono per terra, le spalle contro il bordo del letto, altre fanno cerchio con loro. Lo spazio si riempie.
Dove prima c’era la porta ora vi è un cancello di ferro ampio 4 metri affacciato su un cortile dove le donne hanno appena lasciato liberi di giocare i loro bambini. Sembra un momento di ricreazione. Peccato che questo stia avvenendo nella mia stanza.
Sono così sorpresa, che mi alzo e mi avvicino a loro con cautela, quasi potessero mordermi. “Signore, non potete stare qui. Questa è la mia stanza, alzatevi e andate da un’altra parte”
Sembrano non capire, sorprese dalla mia reazione e dalle mie parole o forse anche dalla mia presenza. Mi trovo ad insistere e a ripetere l’invito, che questa volta suona meno gentile e maggiormente perentorio.
Le donne anche se contrariate, lentamente si allontanano. Mi accodo a loro, le seguo in un salone molto grande costeggiato da ampi tavoli di legno e panche. Sembra un refettorio. Insisto nel dare spiegazioni. Mi sento invisibile ai loro occhi e afona per le loro orecchie. Le mie giustificazioni non sono accolte.
Mi sveglio. Torno cosciente e con la rabbia spalmata addosso mi agito incredula per la conclusione del sogno. Sono veramente andata a giustificarmi di un torto subito?
Sono proprio fuori di testa. Hanno invaso il mio spazio senza indugio. Ho messo dei paletti, ho posto dei limiti, messo fine a questa invasione. Allora che bisogno avevo di essere legittimata per il comportamento adottato?Perchè non riconosco il valore delle azioni che compio? Perchè sento il bisogno che queste vengano legittimate da altri?
Il mio agire voglio sentirlo come la luce proiettata da un faro in mezzo al mare in tempesta, in una notte buia di pioggia e vento. Svolgo il mio compito, so quello che devo fare e non mi rimetto dal farlo.
Non c’è tempesta che mi fermi, perchè so di certo che da qualche parte in mare posso diventare una guida utile per i natanti in difficoltà. Non ho paura nè mi sento colpevole per i naufragi e per la devastazione che seguiranno domani perchè sarò ancora lì. -
La Forma
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Cosa succede ogni volta che mi domandano cosa faccio nella vita? Trovo difficile rispondere ad una domanda solo in apparenza così semplice. Farnetico qualche risposta ma soprattutto, provo disagio.
La via che sto sperimentando, per uscire da questa condizione me l’ha suggerita una persona incontrata in libreria in una calda e soleggiata domenica di primavera; Un caffè, due chiacchere per conoscerci meglio (avremmo trascorso la giornata insieme, lui come formatore io come uditrice) e mi sono ritrovata a confidare il malessere vissuto tutte le volte che tale domanda mi veniva formulata.
Di buon cuore, L’uomo in questione, mi ha suggerito (una cosa che potrebbe risultare banale) di rispondere come più mi compiace. Mi disse qualcosa del tipo: “La risposta non è una sola e può variare a seconda dell’umore del momento senza che questo debba necessariamente intaccare ciò che pensi di te stessa.”La risposta che fornisco, qualunque essa sia non diminuisce il mio valore.
La rivelazione: posso sentirmi libera di presentarmi agli altri nella forma che più mi soddisfa.
Credo che questa affermazione contenga un ottimo punto di partenza nella “definizione del sè”.Nella conturbante sfaccettata e oltremodo variegata versione multipla del sè, trova casa la mia identità: Potrei dunque professarmi “Scrittrice”, ma so già che con il tempo mi sentirei costretta in un ruolo e questo mi andrebbe stretto come quello di casalinga, mamma, moglie, cantastorie o lettrice espressiva, etc.
Se voglio pertanto smettere di sentirmi spezzata o frammentata, ho bisogno di lasciare libera l’energia che ho dentro, il famoso “lasciati andare!”, concetto che tanto fatico a fare mio per paura del giudizio.Tu cosa fai nella vita? Fornire una qualunque risposta breve ma non esaustiva a questa domanda, diventa così una forma di rassicurazione per l’interlocutore che di conseguenza non rischia di perdersi nella complessità dell’altro.
Ma perchè dunque, mi devo sentire nel bisogno di mantenere in equilibrio il questionante? Perchè dare più importanza al suo stato d’animo invece che al mio sentire?
Il tempo è dalla mia parte, sono certa che la risposta anche questa volta arriverà. La ricerca è in corso.
Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita
W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I
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Lui & Lei
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Lei
La poltroncina è poco imbottita, quell’orologio è in ritardo di 5 minuti, lo steward, poi, quando gli abbiamo mostrato i nostri biglietti era particolarmente distratto e scortese, forse questo viaggio è stato un grande erroreMentalmente distante e indifferente ad ogni critica, l’uomo che ha ascoltato le sue lamentele con accondiscendenza, ora si alza e inizia a camminare.
Fa tre passi in avanti e tre passi indietro poi si ferma, la guarda e ricomincia; tre passi avanti, tre indietro, si ferma, di nuovo la guarda e tutto d’un tratto con tono di voce esasperato quasi urlante, esclama:Lui:
ADESSO BASTA!!!!!!, sei una persona insopportabile e petulante. TU, un elefante. IO un negozio di cristallo che non può, non vuole e non riesce a contenerti.
Ho provato, in tutti questi anni, a ritrovare in te quella stessa scintilla che mi aveva attratto la prima volta. Ti ho scelta, ti voglio bene ma ti detesto fino al midollo”.Pietrificata nel corpo immobile con il viso cereo. A tradirla solo gli occhi.
Sottolineano la presenza di una vita sotto l’apparente immobilità facendosi prima sorpresi, poi rossi di rabbia, infine consapevoli.
Una dolce e amara tristezza affiora con un’unica e semplice lacrima. Come la più vana delle illusioni, essa scivola via e cade a terra senza fare alcun rumore.FINE
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Fermo Immagine
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La luce proviene dal televisore acceso a parete.
Le tende oscuranti tardano sapientemente l’arrivo inevitabile del mattino rendondo il risveglio più dolce. La scelta cade su una raccolta di cantautori italiani. Un carosello di 30 anni di musica. Frammenti di una storia che ha emozionato generazioni, raccontando infinite sfumature dell’animo umano.
Lentamente e in silenzio, per non turbare il mondo fuori, le lacrime iniziano a scorrere via.
Abbraccio il cane e la mia solitudine.
Accarezzo il pelo morbido e coccolo la mia anima stanca.
Mi spoglio dalle armi e vestita di rosa, mi concedo un attimo.
Ora è mattina. mi alzo presto.
Note e parole della Sera dei Miracoli prendono il posto della solitudine.
C’è l’incertezza di un sabato mattina tutto da programmare.
Mi spaventa avere davanti l’infinito, mi perdo in esso. Ho bisogno di confinare le possibilità all’interno di un programma.“ e sedendo e mirando….infiniti spazi e sovrumani silenzi….il cor non si spaura”
Cerco e trovo una nota a commento su i Pensieri di Blaise Pascal:
“Le silence éternel de ces espaces infinis m’effraie” [“il silenzio eterno di questi infiniti spazi mi spaventa”].
Mi sento affine a Pascal perché di fronte all’infinito mi sento a disagio.
é questa la colonna sonora della mia vita? Un’infinito spazio di incertezza che cerco di inquadrare in programmi definiti più accomodanti?O piuttosto é la consapevolezza di sentirmi morta dentro uno schema, che mi spinge a scardinare i limiti autoimposti alla ricerca dello spazio infinito a cui sottrarre frammenti di vita.
Ora è di nuovo sera.
Sei entrata nell’inquadratura. Ti ho fissata e forse lo hai percepito perché ti sei girata.
Siamo connesse. Un breve attimo. Le nostre vite si incontrano come i nostri sguardi.
Indosso orecchini di diamanti simbolo di amore, attenzione e protezione. Protetta dal vetro e dalla lamiera che viaggia veloce, sono seduta comoda.
Non vedi. I tuoi occhi non vedono me ma un’auto rossa che scorre veloce.
Chissà cosa provi? Vergogna?
Le tue fragilità mi colpiscono e ti annientano. Le mani corrono a nascondere il senso del fallimento della tua esistenza? Nascondi la chiazza scura? cos’é per me tutto questo se non il simbolo della decadenza della dignità umana, nella sua condizione di sconfitta.Da quanto tempo hai deposto le armi? Quando hai smesso di combattere facendo cadere tutti i muri?
Ma ricorda! Io e te siamo simili.
Siamo state entrambe nude alla nascita, quello che ci è successo dopo ci ha rese profondamente diverse. Ma alla nascita eravamo gemelle.
Provo dolore per la tua condizione. un sentimento che lascio scorrere perchè rischia di annientarmi.E ora che sei scivolata via dall’inquadratura, di te resta il pensiero, impresso nella memoria.
Frammenti