Questa notte è trascorsa formulando pensieri che sanno di meraviglia, ma questa mattina gli stessi fuggono alla tastiera. E’ come un incanto del momento, perso il quale, è impossibile il recupero. Mi ritrovo così a combattere una guerra interiore tra la salute fisica del riposo notturno ( che riposo non è, visto che mi sveglio ad ogni ora e fatico a riprendere sonno) e l’alzarmi a scrivere per imprimere in maniera indelebile ciò che il mio inconscio suggerisce.
Sono combattuta tra la parte razionale fatta di quotidianità familiare e quella creativa che risiede nell’ombra della notte.
Cosa avverrebbe se dessi più credito a quest’ultima?
Verrei a contatto con quella parte di me che tanto mi attrae ma che spesso mi sfugge.
Se fosse l’io, il mio vero sé, che dal profondo delle tenebre tenta di percorrere quella strada priva di influenza ma preda solo dell’intuito?
Sarebbe forse quella, la sacra strada verso la verità e la conoscenza?
Se così fosse, allora io sto girando le spalle a me stessa e la conseguenza è una vita confusa.
Se quella voce interiore che mi suggerisce immagini così vive nel sonno fossero aiuti che mi concedo per fare chiarezza?
Rifiutandomi di ascoltarle mi sto auto-sabotando.
Non sarò mai libera di scegliere se mi rifiuto di vedere.
Stavo lavorando al racconto. Era tutto il pomeriggio che le dita si concentravano sulla tastiera del portatile. Intorno a me, rumori di televisioni accese a volumi elevati. Trasmettono la partita. Le mura del palazzo lasciano entrare in camera frammenti di vita di altri.
Indosso un paio di auricolari, accendo la musica, caccio fuori il mondo e continuo a scrivere.
Ogni tanto rivolgo lo sguardo alla finestra, è una bella giornata di sole.
Con questa luce cristallina che riflette e lascia risplendere tutto ciò che incontra, stare chiusa trasforma la mia camera in una gabbia. Ma desidero terminare il lavoro.
Vorrei fare come il mio gatto che sale sul tavolo per bere l’acqua dalla ciotola. Non si preoccupa se è quella a lui dedicata o quella con le olive messe lì a spurgare. Ha sete, beve, ha voglia di uscire, esce.
Io ho voglia di uscire, penso.
Mentre sono ancora lì bloccata in questa situazione indefinita, osservo sorpresa entrare nella mia stanza un gruppo di 6 donne. Alcune si siedono per terra, le spalle contro il bordo del letto, altre fanno cerchio con loro. Lo spazio si riempie.
Dove prima c’era la porta ora vi è un cancello di ferro ampio 4 metri affacciato su un cortile dove le donne hanno appena lasciato liberi di giocare i loro bambini. Sembra un momento di ricreazione. Peccato che questo stia avvenendo nella mia stanza.
Sono così sorpresa, che mi alzo e mi avvicino a loro con cautela, quasi potessero mordermi. “Signore, non potete stare qui. Questa è la mia stanza, alzatevi e andate da un’altra parte”
Sembrano non capire, sorprese dalla mia reazione e dalle mie parole o forse anche dalla mia presenza. Mi trovo ad insistere e a ripetere l’invito, che questa volta suona meno gentile e maggiormente perentorio.
Le donne anche se contrariate, lentamente si allontanano. Mi accodo a loro, le seguo in un salone molto grande costeggiato da ampi tavoli di legno e panche. Sembra un refettorio. Insisto nel dare spiegazioni. Mi sento invisibile ai loro occhi e afona per le loro orecchie. Le mie giustificazioni non sono accolte.
Mi sveglio. Torno cosciente e con la rabbia spalmata addosso mi agito incredula per la conclusione del sogno. Sono veramente andata a giustificarmi di un torto subito?
Sono proprio fuori di testa. Hanno invaso il mio spazio senza indugio. Ho messo dei paletti, ho posto dei limiti, messo fine a questa invasione. Allora che bisogno avevo di essere legittimata per il comportamento adottato?
Perchè non riconosco il valore delle azioni che compio? Perchè sento il bisogno che queste vengano legittimate da altri?
Il mio agire voglio sentirlo come la luce proiettata da un faro in mezzo al mare in tempesta, in una notte buia di pioggia e vento. Svolgo il mio compito, so quello che devo fare e non mi rimetto dal farlo.
Non c’è tempesta che mi fermi, perchè so di certo che da qualche parte in mare posso diventare una guida utile per i natanti in difficoltà. Non ho paura nè mi sento colpevole per i naufragi e per la devastazione che seguiranno domani perchè sarò ancora lì.