Non vedevo l’ora. Andasse come andasse, di uscire da quella porta ora chiusa, per non farvi ritorno mai più. Attendo ormai da più di mezz’ora. Le mie compagne di scuola non possono capire. Sono qui tranquilla, quasi indifferente, ma dentro, sto malissimo.
Fa caldo, ma non troppo da giustificare le due chiazze che si sono formate sotto le ascelle.
Non mi sento a mio agio in questo completo blu. La mamma ha garantito che fosse idoneo per presentarmi di fronte alla commissione. Chi sono io per contraddirla? La mamma, da insegnante quale è, sa come funzionano queste cose. Ma questo completo mi fa sembrare troppo una brava ragazza e io non la sono per niente.
Giacca, maglietta bianca e pantalone elegante. Un solo dettaglio, rende il completo infinitamente triste e inguardabile: il pantalone a palazzo è corto, scende un pochino sotto al ginocchio e io, dal basso dei miei centosessantadue centimetri, non sono proprio Julia Roberts in Pretty Woman.
Lo stilista avrà voluto dare un tocco sbarazzino alla figura, ma io mi sento ridicola e vengo divorata dall’ansia.
Non mi interessa più nulla, voglio solo uscire da questa scuola e non farvi più ritorno se non per ritirare il diploma.
Non sono stati anni felici. La passione per lo studio si è spenta, una pagella dopo l’altra.
Non provo quel sentimento che ti fa pensare di aver fatto parte di un tutto più grande.
Tranne rari casi, non ho trovato insegnanti appassionanti.
Qualcosa però di buono ne è uscito; mi sono appassionata alla letteratura anche se ho preferito trascorrere il tempo a “cazzeggiare” con le amiche.
Ho odiato il tedesco; la matematica non c’è stato verso di memorizzarla; la storia mi è piaciuta ma non così tanto da indurmi a fare il topo sui libri.
Di studiare, a parte i primi due anni delle superiori, non ne ho voluto sapere. Se lo facevo, era solo per evitare qualunque tipo di rottura con la mamma e, diciamo, di riflesso con il papà. Sempre promossa, anno dopo anno.
Nessuna passione è nata tra quei banchi, almeno non quella che avrei voluto. Leggere è qualcosa che ho amato fare nascondendo i volumi all’interno dei libri di scuola. Quello che desidero ora è solo di divertirmi con le amiche e viaggiare. Questo, per ora, dovrò limitarmi a farlo con la fantasia.
Quante storie mi sono immaginata, quante situazioni diverse, di quante vicende avrei voluto essere la protagonista.
Avrei voluto provare il brivido dell’avventura, come quella volta da bambina.
Avevo forse dieci anni e mi trovavo in montagna. Mi sentii così fiera di me per essere stata protagonista di un salvataggio che considerai quasi epico. Avevo aiutato un bambino più piccolo di me a uscire da un fosso. Non riusciva a risalire, piangeva, urlava e chiedeva aiuto. Solo io, parevo aver udito le sue urla. Preda della paura, mi ero avvicinata, ma quel bimbo piccolo in difficoltà, aveva fatto nascere in me un coraggio fino a allora sconosciuto. Cercai di prendergli la manina mentre con l’altra ero aggrappata a un tronco. Con un po’ di fatica e molta insistenza, il bambino ha allungato il braccio e le nostre mani si sono finalmente incontrate. Una volta in cima, se ne era andato lasciandomi sola, con la convinzione di avere fatto una cosa grande; una cosa giusta e bella.
Nessuno a testimoniare quell’atto per me così eroico, nessuno a cui parlarne. La soddisfazione provata presto si era trasformata in una grandissima delusione accompagnata da un forte senso di solitudine.
Lo stesso sentimento che provo ora, in piedi vicino alla vetrata che dà sul cortile interno della scuola, mentre attendo di entrare.
Non ho studiato nulla, a parte le tesine che ho scritto e che non sembrano avere nulla in comune tra loro. Nessun filo conduttore porterà la commissione verso una destinazione a me nota. Se me lo chiedessero, potrei solo argomentare affermando che qualche cosa di quegli argomenti mi ha colpita. Dirò che ho fatto una semplice scelta di pancia. Forse.
La porta, allo stesso tempo, maledetta e benedetta, finalmente si apre, il maturando che mi ha preceduto esce e appare felice. Ha l’aspetto di chi ce l’ha fatta.
Quanto lo invidio. Come vorrei essere al suo posto. Ha finito. Sa di essere andato alla grande.
Immobile come un fossile incastonato tra le rocce, lo osservo appoggiata lungo il muro e da lontano mi scopro gelosa di lui, del suo modo di stare al mondo.
Lui che in questi cinque anni ha avuto un grande successo: amici, ragazze e i professori gli hanno perdonato tutto. Lui, l’unico ragazzo in una classe di venticinque femmine. Trovo tutto tremendamente ingiusto.
La commissione ora deciderà del mio destino. Solo dopo questa lunga e interminabile pausa chiameranno il prossimo, cioè, la sottoscritta.
Il sole, fino a quel momento, tiepido e timido, di botto ha deciso di rilasciare sulla terra i suoi raggi cocenti. Non sono più in una scuola, sono in una tenda in mezzo al deserto sahariano a mezzogiorno.
Sudo tantissimo. Mi sento, contemporaneamente, il viso pallido e in fiamme. L’ansia è alle stelle.
La porta si apre. Una voce, che non riconosco, pronuncia il mio nome. Con passo deciso mi avvicino al plotone. Il plotone è pronto, e presto sparerà la sua sentenza.
Ho tempo per osservare i volti di chi deciderà del mio futuro.
Poggio le copie delle mie tesine sul tavolo di fronte alla presidente. Copie superflue, dato che loro hanno in mano gli originali, depositati in segreteria tempo prima. Resto in attesa, li osservo. Mi sale il panico.
Gli sguardi che mi rivolgono non lasciano trasparire nulla. Non ricevo, nessuna parola di conforto o incoraggiamento. L’insegnante di lettere, la presidente della commissione esaminatrice, finalmente decide di parlare: “Lei ha scelto la traccia di attualità, ha scritto con un taglio troppo giornalistico”.
Il tema, tra le prove, era quello su cui ponevo le mie speranze per un giudizio discreto. Non posso fare a meno di cogliere il disprezzo con cui mi parla. L’ansia si trasforma in disperazione.
Quella frase, buttata lì come si butta una cartaccia nella spazzatura.
La presidente si ferma qui, non dice altro e passa la parola al commissario. Così ha avuto inizio il mio orale di maturità.
Nei minuti che seguono, nulla scioglie il gelo di questa commissione esaminatrice e se prima non vedevo l’ora di uscire da quella porta, ora ho premura che questo avvenga il prima possibile. Mi sento sola in mezzo a un mare di squali e sento solo il bisogno di fuggire per mettermi in salvo.
Quando la tortura termina, per la sottoscritta non c’è nessuna uscita trionfale.
Quel momento è fisso nei ricordi, come uno dei peggiori della mia vita, di quelli in cui, se le cose fossero andate diversamente, forse…
Che direzione avrebbe preso la mia vita?
Se quel giorno, l’insegnante avesse fatto una lode o una critica costruttiva, forse, avrei proseguito gli studi, incoraggiata dalle possibilità che mi venivano riconosciute. Ma quel giorno mi sentii giudicata e la versione più giovane di me, avrebbe dovuto picchiare la testa contro molti muri, prima di riuscire a capirci qualcosa.
Giudicare la maturità di una persona ha senso a quell’età?
Come è possibile aspettarsi che un individuo appena maggiorenne abbia conseguito una piena maturità?
Ancora oggi, quale è il senso di questo esame?
Per giudicare la preparazione di una persona non sono sufficienti tutte le verifiche e le interrogazioni fatte in classe?
Quella ragazzina vestita in maniera terribile non aveva un’identità precisa, né padroneggiava il mondo, come il compagno che l’aveva preceduta nell’orale.
Quella ragazzina timida e riservata, solare e sorridente, aveva solo una grande paura di vivere.
Ieri, a teatro, ho provato una forte compassione per un ragazzo seduto qualche fila dietro di me.
Uno studente delle superiori, assisteva come me allo spettacolo in programma. Si trattava di un monologo, costruito intorno alle storie di Calvino, dove l’autore dialogava con il pubblico di libertà, pensiero critico e di prospettive differenti.
Alle mie spalle, una coppia di insegnanti, a dir poco sgradevoli, ha deriso questo ragazzo, davanti a tutti.
Quel lontano giorno vissuto con tanto disagio, è emerso con violenza dagli abissi della memoria. Ho provato un forte senso di ingiustizia. Quello di ieri sera era un contesto di assoluta bellezza, ma evidentemente non è stato sufficiente, per proteggere questo ragazzo dall’ignoranza dei suoi professori. Se si è fragili e immaturi, ancora oggi, si continua a essere facile preda della crudeltà umana. Vittime della fame di rivincita che attanaglia i vili.
Mentre ripensavo alla serata di ieri sera, mi sono ritrovata una volta ancora, in quel corridoio assolato, in attesa di entrare a svolgere il mio orale di maturità.