Prologo

Il Cappottino blu

Le immagini trasmesse sono l’unica fonte luminosa. Senza, la stanza, i pochi arredi e io, potremmo anche non esistere e quello che sto per raccontare, non avvenire mai.

La televisione accesa è il mio pungi e la sottoscritta, la serpe incantata.

Sdraiata sul letto, obbedisco immobile all’ordine della mamma: di non uscire e stare buona. Intorno a me rumori lontani di vite sconosciute che non raccontano niente di interessante per le mie orecchie di bambina di quasi quattro anni. Resto sul letto e aspetto che la mamma faccia ritorno. I cartoni animati mi fanno compagnia e niente di brutto accade dentro la stanza.

Ora il pungi si è rotto. Lo schermo trasmette solo righe grigie orizzontali. Mi sento strana. La testa e il corpo pesano. Prima ero sola al mondo e la televisione era la mia amica; ora che lei si è spenta, il mondo si è riempito di suoni. Resto calma e buona sul letto come la mamma mi ha detto di fare mentre usciva. Sento delle voci provenire dal corridoio. Alcune sono veloci, altre stridono dentro le mie orecchie. La porta si apre.

«Alzati piccola, mettiamo il cappottino e scendiamo in giardino, la mamma arriva presto, vedrai». Questa signora è dolce, la seguo volentieri.

Nel corridoio ci sono diverse persone, vanno tutte nella stessa direzione. Come noi, scendono le scale. Pochi secondi e siamo nel giardino. Fuori è buio, la mamma non c’è.

Non ho freddo, il cappotto blu mi tiene al caldo.

Ferma, guardo la casa da cui sono appena uscita: è quadrata, al centro ci sono tre gradoni e la porta di ingresso. Un piccolo recinto circonda il giardino in cui mi trovo. Intorno a noi altre case e altre persone in strada.

Perché la TV è diventata grigia? Dov’è la mia mamma?

La mamma è arrivata ora, parla con la signora gentile, dice che non capisce: perché siamo scese in giardino? Si agita e la sento dire: «Come, il terremoto? Oh mio Dio! Non mi ero accorta di nulla, ero in macchina, stavo arrivando».

La mamma ora è vicina a me: «La terra ha tremato tutta e la signora ti è venuta a prendere, ti ha messo il cappottino e ti ha portata di sotto. Hai avuto paura?»

Il trauma risiede nello spavento che ho letto sul volto della mamma. Quella paura così lontana è diventata la mia. L’ho portata dentro di me per diversi decenni senza accorgermene. Poi l’ho urlata tutta, insieme alla rabbia che avevo in corpo. Il panico, si è impossessato di me durante un altro terremoto, quello del 2018. Come spiegare la momentanea pazzia che si è impossessata di me? Impossibile. Ho impiegato tutta la vita per capire e non tutto mi è chiaro, ma solo ora che cerco di andare oltre, so di poterci riuscire. Scrivo della giovane ragazzina, dell’adolescente immatura e della mamma impreparata, prendo consapevolezza e vado oltre. Nel viaggio di una settimana che ho voluto fare da sola, lontana da casa e dalla famiglia, ho colto quanto di più straordinario si cela nella mia vita e in quella di tutte le persone incontrate sulla mia strada.

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