Ritorno a Salina

Dopo più di 35 anni, ho fatto ritorno a Salina. L’isola delle Eolie, che conservavo nei ricordi di bambina, mi attendeva cambiata eppure familiare. In questo racconto a episodi, condividerò le mie impressioni su questo viaggio nel tempo. Un dialogo tra passato e presente, tra la persona che ero e quella che sono diventata, tra l’isola dei miei ricordi e la Salina di oggi.

  • Martedì 9 maggio 2023 – I racconti dell’io

    La realtà è un grande ammasso di metallo che si alza in volo vincendo la gravità. Una lama che squarcia il cielo come un velo che separa l’idea dal progetto.

    Dopo 2 mesi di ricerche, richieste di informazioni, e letture, mi trovo seduta nelle vicinanze del gate, ad osservare questo piccolo pezzo di mondo. Il tempo è grigio, la foschia copre le prealpi.

    Coppie in viaggio, ragazzi in partenza per la gita scolastica e persone in attesa, con chissà quante storie da raccontare. Osservo la pista. Spazi enormi delimitati dai capannoni. Un altro aereo sta per decollare.

    Dentro, tra il vociare dell’attesa, sento amplificato il metallo sottile che incontra la ceramica nel più banale dei gesti quotidiani.

    Movimenti calcolati, gesti ripetuti che vanno in contrasto con il mio sentire.

    Mi abituerò mai? Ne avrò l’occasione? Perderò la magia? Diventerà, un giorno, una necessità banale come prendere un caffè al mattino? Quanti interrogativi tutti in una volta.

    Seduta composta con le gambe accavallate il quaderno in una mano e la penna nell’altra sto affrontando la paura di volare. Mi spinge il desiderio di tornare là dove tutto ha avuto inizio. Mi attende una settimana di piena solitudine, lontana da ritmi scanditi e quotidiane abitudini. Tempo prezioso, che sarà, solo mio.

    Uno sguardo al tabellone della partenze.
    Lods?!? Ma dove si trova? non ne ho mai sentito parlare.

    In un’altra vita vorrei avere la libertà di acquistare un biglietto, e partire per una destinazione sconosciuta, solo per il gusto di soddisfare la curiosità.

    I giorni scorsi sono stati impegnativi mentre le notti, come da anni ormai mi succede, sono state un alternarsi di sonno profondo e veglia. Sento le spalle tese. L’ansia, che tento costantemente di schiacciare giù nella pancia, risale spinta da una forza sconosciuta. Fedele compagna, una costante . Essere ossessiva, mi aiuta a tenerla a bada e non mi fa andare in palla il cervello. Se perdo il controllo, entro in modalità panico e faccio danno.

    Il momento è arrivato, prendo un profondo respiro e passo i controlli. Che disastro se avessi dovuto imbarcare lo zaino in stiva, penso.


    Salgo le scalette, Sono dentro. Trovo il mio posto, mi sistemo.


    L’aereo è pieno. Per distrarmi dall’attacco di panico che attende di salire a bordo con me, inizio a riversare sul vicino, un fiume di parole, che raccontano di questo viaggio. Seduta al finestrino, persa nel suo lavoro, c’è una donna bella ed elegante. Mi domando cosa penserà di me che ciarlo da quando mi sono seduta. Spero di non passare per una logorroica scassa palle. Nel mentre siamo in volo. Mi silenzio e prendo la raccolta de “I racconti dell’io”che ho portato con me. La copertina gialla e quelle due lettere, sono state come una lampadina accesa tra i migliaia di titoli disponibili sugli scaffali di Elsa.

    Mi domando se sarà lo stesso, io che cerco di ritrovare in questo viaggio? Sprofondo nella lettura.

    Salina sto arrivando.

  • Martedì 9 maggio 2023 – Il mare colore del ferro

    Scendo dall’aliscafo e seguo il flusso dei passeggeri. Ad accogliermi, la chiesa gialla dai profili intonacati di bianco.

    Un ricordo affiora alla memoria: Il traghetto in manovra di attracco e dall’alto del pontile ci sono io che osservo con curiosità la piazza. La mia attenzione viene catturata da una Chiesa gialla e da un bar con qualche tavolino all’aperto, di quelli con la marca dei gelati sopra.

    Mi informo, entrando con un po’ di timore provando anche un principio di imbarazzo, dentro ad un locale, quello che penso una volta fosse il bar della chiesa. La prima impressione che mi restituisce è quello di un luogo frequentato , potrebbe essere un ufficio turistico, ma non ne ho la certezza, nessun depliant pubblicitario sugli scaffali o mappa dell’isola appesa al muro.

    Una persona, dietro la scrivania, riesce a fornirmi l’informazione che speravo di ottenere. Ho la netta sensazione che sia la milionesima volta che risponde alla stesso domanda. << Sulla sinistra c’è una panchina. Aspetta li>>. Mi sento una sprovveduta e anche una scocciatrice quando formulo una seconda richiesta.

    In tutta risposta, come se anche questa fosse una domanda già sentita mille e passa volte, la persona dietro la scrivania, fin troppo paziente mi risponde ciò che non poteva che risultare ovvio:<< Sul pulmino!!>>

    Saluto e esco nuovamente sulla piazza. Adesso che ho con me le certezze di cui avevo bisogno, mi siedo sulla panchina e aspetto. Oggi mi sembra di avere fatto solo questo. 1 ora seduta in aereoporto, 2 ore sull’aereo, 2 sul pullman, 1 ora al porto e quasi 2 ore sull’aliscafo. Spero solo di non dover attendere l’arrivo del pulmino, su questa panchina ancora 2 ore.

    Ne approfitto per guardarmi in giro. Il cielo è denso di nubi scure che smorzano la luce del tardo pomeriggio. Il mare è del colore del ferro, scuro e immobile. a terra l’asfalto è bagnato, segno del passaggio recente della pioggia. Quasi nessuno in giro.

    Sono trascorsi, 35 anni, dall’ultima volta che ho messo piede a Salina. Qualcosa potrebbe essere cambiato. Eppure il mio viaggio nei ricordi sembra, per ora, essersi preso una pausa.

    Mi rivolge la parola un signore anziano. Il retro della sua auto è carico di merce, credo abbia appena smontato il banco. Mi domando quale sia, la lunga storia che lo ha portato così lontano dalla sua terra. Sarebbe un onore restare ad ascoltare, ma non credo di avere molto tempo prima che arrivi il pulmino. Almeno questo è quello che spero. Inoltre mi sentirei una persona invadente a fare domande così personali e inopportune ad uno sconosciuto incontrato per caso.

    Si congeda da me con un sorriso sincero, che sa di fatica. Lo vedo allontanarsi.

    Chiudo gli occhi e ascolto; Il mare è silenzioso e la natura in generale sembra si sia presa una pausa.

    Una ragazza, più o meno dell’età del mio figlio più grande, porta a spasso il cane e il mio pensiero vola a casa.

    Chissà chi è uscito in passeggiata con Peach, la nostra cagnolona fantasia.

    Sentiranno la mia mancanza? Sono certa che stiano bene e che in questa settimana di assenza se la caveranno egregiamente.

    Anche senza di me.

    Alcuni ragazzini arrivano e salgono sul pulmino che va nella direzione opposta. Portano lo zaino di scuola e si conoscono tutti.

    Accanto a me si siede una signora. non è sola. Le fa compagnia una cagnolina molto piccola che tiene in braccio. Trema. <<Si chiama Titti>> mi risponde la signora su richiesta. Lei invece è Stefania. è di Milano e soggiorna per qualche giorno in un albergo di Lingua.

    Le dico che anche io sono diretta a lì.

    Saliamo sul Pulmino. Chiedo, seguendo il consiglio di Loredana, per gentilezza al conducente, di lasciarmi davanti a Casa Ofria.

    Non incontro nessuna resistenza.

  • Martedì 9 maggio 2023 – Il Pane Cunzato

    Un giro veloce della casa, per assicurarmi che sia tutto a posto ed esco in esplorazione. Sono pervasa da uno stato di eccitazione. Fatico a realizzare di essere veramente qui, dopo mesi di ricerche, ho mille cose che desidero vedere. L’aria del tardo pomeriggio, complice la pioggia passata, è fresca e umida. Il tempo sull’isola è imprevedibile. In questa settimana sarà molto variabile. Imparerò solo dopo, quanto possa esserlo.

    Esco per andare a cercare qualcosa per cena. Ho visto,  quando sono arrivata in paese con il pulmino,  una strada che porta al mare. Torno quindi indietro a piedi e la incontro sulla mia destra. Percorro questa stretta via fino a ritrovarmi in una piazzetta affacciata sul mare. Ombrelloni  chiusi e  tavoli di legno bianco annunciano la presenza di un locale.Non c’è nessuno, ma il locale è aperto.
    Sulla piazza trovo anche un alimentari e un bar ristorante pizzeria.

    Decido di ritornare dopo per mangiare, ora voglio visitare il faro e “sentire” il mare.

    Una famiglia con bambini piccoli sta facendo una passeggiata lungo la spiaggia. Il sole sceglie di affacciarsi e salutare prima del tramonto. Il panorama si colora di mille sfumature diverse.
    I raggi sono solo tiepidi ma la luce scalda e i colori si fanno brillanti.

    Un senso di disagio, rovina il momento.  Qualcuno mi sta seguendo. Un uomo incontrato prima sul lungomare, si avvicina. Come un cristallo rotto, tutta la mia sicurezza va in frantumi e la realtà mi piomba addosso.

    Sono sola, non conosco nessuno. Per la prima volta da quando ho deciso di partire, ho paura. Mi sento fragile e indifesa. Facile preda.

    Reagisco allo shock e decido di giocare in difesa. Prendo il cellulare e inizio a scrivere un messaggio per dire che va tutto bene, che sono arrivata e che sono stracontenta. Faccio anche una telefonata. Il tipo sembra non avere fretta, aspetta paziente. mi sorpassa lungo la strada del faro e quando termino la telefonata si avvicina.

    Tento di non entrare in modalità panico, e di governare le emozioni. Non credo mi riesca bene perché l’uomo si avvicina e si scusa per avermi messo paura. Mi ha vista sola e ha capito che ero una forestiera come lui. Mi racconta che è sull’isola per lavoro. Si occupa della costruzione di piscine e giardini. Gli hanno commissionato un lavoro qui in un albergo di Lingua. 

    Mi sento una stupida. Nella mente mi ero già fatta un film dalla trama orribile.

    Questa persona è, invece, molto più simile a me di quanto possa riconoscerlo. Quando mi trovo sola, sarei capace di attaccare bottone anche con i sassi. Mentre ascolto con interesse la storia antica del suo paese, della sua famiglia e della sua florida attività, passeggiamo lungo il faro e la striscia di pietra lavica che separa il mare dalla zona lacustre. racconto le motivazioni che mi hanno condotto sull’isola, senza rivelare troppi dettagli sulla mia permanenza.
    In maniera alquanto cavalleresca mi lascia un biglietto da visita, invitandomi, qualora dovessi trovarmi in difficoltà a contattarlo.

    Lo sconosciuto dopo Sonia, è la seconda persona che mi lascia i suoi contatti.
    La bella donna incontrata in aereo, infatti, una volta a terra mi ha aiutato a trovare il bus per Milazzo e mi ha lasciato il suo contatto per lo stesso motivo. << Di qualunque cosa avessi bisogno, chiamami pure>> aveva detto. ci messaggeremo e mi chiamerà spesso durante la settimana. Sentirmi accudita è un esperienza piacevole per una persona solitaria e un po’ orsa come me.

    io e lo sconosciuto, ormai non più tale, torniamo indietro e quando siamo di nuovo in piazza ci salutiamo.

    Entro così nel piccolo ed unico negozio di generi alimentari presente e acquisto del formaggio e dei biscotti di mandorla.

    Non credo sia una cena proprio salutare così mi dirigo verso il locale a fianco.

    Il pane cunzato di questo locale è famoso in tutto il mondo quando si parla di Salina. Non è l’unico ristorante del lungomare, ma la curiosità di assaggiare questo piatto, prevale sulla pizza e sul pesce.

    Mi ritrovo sulla via di casa con in mano un contenitore da asporto dentro cui si trova una pagnotta appena sfornata che emana un profumino esaltante.

    Non vedo l’ora di mettermi a tavola ed assaggiare il famoso “pane cunzato” di Alfredo.

  • luglio 1986 – Il traghetto da Napoli

    Mi ricordo che era l’anno della mia cresima. Avrò avuto 10 o 11 anni.

    Il mese di luglio, la nostra famiglia faceva sempre 3 settimane di vacanza per poi godere della quiete che ci riservava la città ad agosto.

    Io con mio fratello più grande, mamma e papà, eravamo arrivati a Napoli nel tardo pomeriggio.

    Mi ricordo che attraversare la città per dirigerci all’imbarco aveva messo a dura prova i nervi della mamma che in preda all’ansia e alla paura continuava a rimproverare mio padre che passava con il rosso o prendeva le strade contromano.

    “Qui si fa così” le disse papà con determinazione, per poi aggiungere “se guidassi diversamente, non avremmo pace.”
    Seguiva il flusso del traffico con molta naturalezza.

    Del passaggio in nave non mi ricordo molto, la notte all’epoca, avevo la capacità di resettare tutto.

    La mattina dopo ad accogliermi sul ponte una luce forte. Eravamo nel mezzo di un mare denso e di un blu intenso. Lo stupore alla vista di Stromboli e della sua terra arsa e scura che lentamente si faceva più vicina.

    Il mio cuore palpitava per quella vacanza così diversa dal solito. Ci stavamo dirigendo a Salina un’altra delle Isole dell’arcipelago eoliano.

    Al nostro arrivo, durante la manovra di attracco, guardavo dal ponte l’isola su cui avremmo trascorso le successive due settimane.

    Ad accoglierci una Chiesa del colore del sole e il vicino bar con tavoli, sedie e ombrelloni di una famosa marca di gelati. Alle spalle il paese intonacato di bianco e sullo sfondo la montagna che sembrava avere sete.

    Tutto su quell’isola sapeva di estate. Il calore sulla pelle, l’aria asciutta e pulita, la luce intensa riflessa sulle pareti bianche del paese.

    La gente sulla banchina, indossava lo sguardo dell’attesa. Chi attendeva di partire, chi l’arrivo dal Continente (mamma, mi aveva spiegato che gli isolani chiamavano in questo modo il resto dell’Italia).

  • luglio 1986 – la casa sulla spiaggia

    Una volta sbarcati dal traghetto, abbiamo costeggiato un breve tratto di mare e percorso una stradina che scendeva sulla destra. Pochi minuti ed eravamo alla casa che i miei genitori avevano preso in affitto per le vacanze. Ci attendevano due settimane su una spiaggia stretta e lunga. 

    La casa era particolare. Le camere da letto al primo piano erano collegate alla cucina e al bagno del piano terra, attraverso una scala esterna. Mi faceva strano, ogni mattina,   uscire di casa in pigiama per scendere in cucina a fare colazione o per andare in bagno, ma non dimenticherò mai lo sguardo di meraviglia quando mi affacciavo sul pianerottolo. Amavo osservare il mare e ascoltare il suono che si produceva nel frusciare dell’acqua sui sassi. La mattina si faceva via via più vivace fino ad arrivare a sera, quando il ritmo, rallentava e si faceva ipnotico. Per una ragazzina di città quel posto assomigliava al paradiso.

    Mamma, invece,  non era particolarmente contenta. La spiaggia era di sassi e per niente comoda per sdraiarsi a prendere il sole.  Un netto contrasto di sentimenti.

    La nostra casa era l’ultima porta, quella più distante dal mare. Altre famiglie e altri bambini, abitavano quel luogo.  Erano case di pescatori, riconvertite  per accogliere i turisti d’estate.   Si capiva perché erano ancora presenti sulla spiaggia i barconi messi a riposo.

    Una sera, insieme ad altri bambini eravamo seduti in cerchio. Alcuni su di un muretto altri per terra. Tra tutti ero la più grande.

    In quella sera di piena estate, la luna si attardava dietro la montagna, rendendo quest’ultima un luogo oscuro e impenetrabile. Le luci delle nostre case troppo deboli per raggiungerci. Il mare metteva paura per quanto era silenzioso e cupo.  Il cielo era il vero spettacolo, illuminato com’era da migliaia di piccoli puntini luminosi. Quante stelle!

    Iniziai a raccontare una storia che ci vedeva protagonisti.  Grandi lupi sarebbero scesi silenziosamente dalla montagna per mangiarci.
    I bambini che inizialmente mi ascoltavano incantati, furono presi da una tale paura che scapparono a casa terrorizzati.  

    Ero incredula e spaventata. Cosa avevo fatto?

    Al pensiero che i genitori dei bambini andassero a chiedere spiegazioni ai miei e che di conseguenza io venissi rimproverata o addirittura punita, scappai in casa e per i giorni che restavano prima della ripartenza non mi feci più vedere da quei bambini. Ero terrorizzata da quello che ero riuscita a fare. 

    Non raccontai mai a nessuno quello che era successo e presto me ne dimenticai.

  • Mercoledì 10 maggio 2023 – Il Risveglio

    Resto sdraiata nel letto mentre ascolto la melodia di centinaia di uccellini.  Non si percepiscono altri rumori. Sono molto distante da casa, dove il cantare incessante della natura è soffocato dal frastuono assordante del traffico 

    Decido alla fine di alzarmi e mettere sul fuoco un pentolino d’acqua. Mi preparo una tisana allo zenzero e arancia . 

    Sono appena le 5.30 del mattino, quando  mi siedo in veranda con la tazza bollente tra le mani. Penso che potrei trascorrere una vita intera a fotografare, dipingere o semplicemente descrivere ciò che i miei occhi possono ora osservare.

    L’orizzonte è lontano. Il cielo spruzzato di sfumature grigio azzurre  fa da fondale di un panorama incantevole. 

    Dall’alto osservo, la striscia di terreno coltivato che dalla strada scende fino all’antica salina: Un triangolo lacustre separato dal mare da una striscia di massi di natura lavica. Sulla sinistra, il piccolo faro bianco e solitario. 

    Il mare separa questa da un’altra delle isole dell’arcipelago eoliano. Lipari emerge dalle acque occupando gran parte della visuale frontale. Si distinguono nitidamente alcuni centri abitati.  

     Ieri sera prima di andare a dormire, il mio sguardo si  è fermato  per lungo tempo ad osservare tanti piccoli lumi sparsi nel buio. Ho pensato fosse impossibile sentirsi soli.

    L’ampia veranda, in cui sto sorseggiando la tisana, è semplice e al tempo stesso magnifica.

    Il pavimento in cotto, il muretto bianco in netto contrasto con le maioliche dalle tonalità del cielo, il pergolato in legno scuro, ricoperto di canne dai toni neutri donano, insieme alle bianche colonne circolari, donano all’insieme un certo senso di sicurezza solidità.

    Una pesante tovaglia di filo, color sabbia e un piatto di ceramica decorano il tavolo di legno massello,  bianco. A sinistra della veranda, due poltrone e un tavolino da caffè.

      I mobili scoprirò poi, sono opera del papà di Loredana. Artigiano del legno. Tutto in casa è opera sua. Dopo anni, dalla sua scomparsa, questi mobili come molte altre sue maestranze sull’isola ne fanno sentire ancora viva la presenza.  

     Immagino come potrebbe essere, trascorrere intere settimane a scrivere su quel tavolo così pesante da spostare o a leggere, stando seduta su queste poltrone. Impossibile mantenere alta la concentrazione perché più forte sarebbe il bisogno di assicurarsi che la meraviglia e la bellezza del luogo siano ancora tutte lì e non siano solo un incantesimo di breve durata.

    Finisco la tisana e mi preparo per uscire. Ho un pulmino da prendere.

  • Mercoledì 10 maggio 2023 – Salita a Monte Fossa delle Felci

    Ho in programma di recarmi a Santa Marina Salina, il luogo a cui ieri sono approdata. E’ mia intenzione fare un giro per il paese e visitare la spiaggia del Barone così da rivedere dopo 35 anni il luogo in cui ho soggiornato da bambina. 

    Esco, scendo le scale e mi dirigo a destra verso la fine della strada dove so che troverò il capolinea del pulmino. Mi ritrovo incantata ad osservare piante di ulivo o di frutta in piena fioritura.

    Più avanti sulla strada il mio sguardo viene catturato da grandi macchie gialle in netto contrasto con il verde brillante del fogliame. Sono limoni. Di così grandi non ne ho mai visti al supermercato.

    Che gran desiderio di rubarne uno e assaggiarne la buccia a morsi. Così per darmi un pizzicotto e dimostrare che tutto quello che vedo, è reale. Che vergogna al solo pensiero di essere beccata a rubare.

    L’isola, alla metà di maggio è un tripudio di colori: fiori, frutti, cactus, vigneti: mi sento, al centro di una scena dipinta da Monet. La natura riempie tutti gli spazi donando a chi la osserva uno sguardo sull’infinito.

    Nel mio avanzare, incontro, un gattone rosso, che placido, dorme acciambellato sopra un cesto rovesciato; Uno di quelli usati per la raccolta dell’uva o delle olive. Sente la mia presenza, solleva una palpebra, per assicurarsi che non mi venga in mente di invadere il suo spazio o disturbare il suo riposo.

    Procedo dritta finché la strada termina in uno spiazzo circolare confinante con il mare.

    Sulla sinistra una via sale sul versante del monte in cui sparse qua e là a mitigare il verde si trovano macchie di bianco. L’architettura eoliana, è unica in tutto il mondo per le sue terrazze  chiamate Bagghiu con i colonnati  dette Pulèra e i tetti piatti o Astricu.

    Mi sento connessa a questa natura e nel mio essere sola entro in uno stato di beatitudine.

    Osservo questo luogo oltre il quale non si può andare. Guardo con attenzione il perimetro circolare che delimita la strada. Alcune panchine sono rivolte verso il mare. 

    Sedute su quella più in fondo, riconosco Stefania in compagnia di un’altra donna.

    Mi avvicino, per chiedere dove esattamente fa capolinea il pulmino; 

    Ci salutiamo e Stefania mi presenta la sua amica Beatrice. una donna un po’ in là con gli anni dal sorriso aperto e la serenità nei gesti. Nasce in me il desiderio di catturare e fare mia un po’ della sua sicurezza.

    Il tempo di presentarmi e vengo invitata ad andare con loro in escursione a Monte Fossa delle Felci.

    Accetto con entusiasmo anche se nella mia testa, si fa strada un pensiero inquieto.

    Mi domando se non stiamo facendo un grosso errore a salire senza una guida esperta. Nelle ricerche che ho svolto prima di partire, infatti, mi è capitato spesso di trovare, notizie di escursionisti incauti soccorsi perché impreparati alla difficoltà dei luoghi.

    Mi rispondo che non ho motivo di preoccuparmi perché con Stefania e Beatrice non sarei stata sola.

    A Michele, la guida contattata, avrei chiesto di percorrere altri sentieri. A Salina, ce ne sono molti e da quello che ho letto sono tutti bellissimi.

    Torno in fretta a casa per cambiarmi. Ho ancora del tempo prima della partenza del pulmino.

    Abbandono la camicetta e le sneakers  per indossare le mie inseparabili scarpe da escursione. Metto, nello zaino da trekking , dell’acqua, il panino avanzato dal viaggio e il sacchetto con il necessario per le piccole emergenze.

    Saliamo  sul pulmino destinazione Val di chiesa. Mi sento leggera e pervasa da un rinnovato entusiasmo.

    Il sentiero, così mi dicono le mie nuove compagne di viaggio, inizia a sinistra del Santuario della Madonna del Terzito, patrona delle Isole Eolie. Una processione si svolge ogni anno il 23 luglio in suo onore. Per raggiungerlo, con il pulmino ci fermiamo a Santa Marina, Barone, Capo faro, San Lorenzo, Malfa.

    A Santa Marina, io e Beatrice assistiamo ad una scena insolita.

    Sale un uomo che scoprirò poi chiamarsi Tonino. Ha l’aria di essere un pescatore. Barba bianca, cappello di cotone dal bordo arrotolato calato sulla testa.  

    Trova posto davanti a me rivolgendosi a Stefania, chiede se Titti (la pincherina di circa tre chili) morde.

    Stefania, pensa ad uno scherzo e risponde che il cane è estremamente aggressivo e mangia tutte le persone che osano infastidirla. 

    L’idea che possa mangiare un essere umano, fa già ridere da sola, che possa mangiarsi Tonino, rende la scena a cui io e Beatrice stiamo assistendo, ancora più surreale.

    Inevitabilmente ci scambiamo uno sguardo carico di interrogativi che difficilmente troveranno risposta.

    Tonino però, si rivela essere un gran burlone. Mi era riuscito di credergli. La simpatia che provo per lui fa nascere in me la curiosità di conoscere la storia che l’ha portato qui a Salina

    Il Pulmino riparte e noi con lui. 

    La strada dopo avere costeggiato il mare, sale,  fin dentro la montagna, che mostra la sua bellezza con orgoglio. Una vegetazione fitta e verdeggiante, riempie la vista, donando sollievo e lenendo ancora una volta con un indefinito potere curativo, le ferite che ho nell’animo.

    A Gramignazzi, sale un uomo  che va a sedersi dietro a Beatrice.
    Ripartiamo e mentre i miei occhi si nutrono della curiosità del nuovo, spiego alle mie compagne di escursione il motivo della mia presenza sull’isola.

    Mi accorgo che l’ultimo arrivato, segue con interesse la nostra conversazione. Arrivati a San Lorenzo si appresta a scendere. Prima però si presenta e mi lascia il suo contatto accompagnato da un volantino pubblicitario.
    Riconosco la copertina di un libro per bambini che aveva attirato la mia attenzione nelle ricerche svolte prima di partire. Considerando l’amore che nutro per l’editoria per l’infanzia e il mio passato da cantastorie nasce la volontà di incontrarlo e saperne di più.

    Alessandro ha dedicato una favola per bambini ad una pianta di cappero centenaria che ha battezzato con il nome di Geronimo.

    Arrivati alla fermata Val di chiesa, del mare non c’è traccia. Siamo al centro dell’Isola. Da una parte Monte fossa delle Felci dall’altra Monte dei Porri al centro la vallata con la strada che abbiamo appena percorso.

    Nel verde lussureggiante dei vigneti, la famosa malvasia delle Lipari, ricchezza e vanto  dell’isola e di Val di chiesa, si staglia imponente con le sue mura dipinte nel colore del sole il Santuario della Madonna del Terzito.

    Non siamo i soli a voler salire a Monte.

    Dal pulmino è scesa una coppia che si avvia subito verso il sentiero e una donna che sta parlando ora con Stefania, in tedesco. Si chiama Ilse e si unisce a noi nella breve visita al santuario.

    Giusto il tempo di una foto ricordo e la nostra compagnia improvvisata, si mette in cammino.

    L’ultima in ordine di tempo ad unirsi per la nostra escursione si dice sicura della strada da percorrere perché, ci racconterà poi, torna a Salina almeno una settimana ed ogni anno da quando è andata in pensione sale su in cima. Ci racconta che ama l’isola e i suoi sentieri.

    Ci fidiamo delle sue indicazioni e ci mettiamo in cammino. Avanziamo lentamente perché Beatrice è in affanno.
    Poco  importa, nessuno ci mette fretta e l’andatura lenta ci dà l’occasione di godere del panorama meraviglioso e della moltitudine variegata di fiori e piante. L’aria profuma e satura i sensi.

    Beatrice mi sorprende per la sua conoscenza della botanica. Dà un nome alla maggior parte delle specie vegetali che incontriamo. Non è allenata ma con tenacia supera la fatica di una salita molto ripida dopo la quale incontriamo una strada sterrata e Ilse propone a Beatrice di prendere quest’ultima. Un percorso indubbiamente più lungo ma sicuramente meno impegnativo. Lei rifiuta con determinazione, nonostante la fatica sempre maggiore.

     Il tempo sta decisamente peggiorando. Grandi formazioni nuvolose di un grigio sempre più cupo si annidano sopra le nostre teste mentre avanziamo lentamente nel bosco.

    Stiamo camminando da due ore quando comprendiamo perché il monte si chiama Fossa delle Felci.

    Il sentiero, fino a quel momento immerso nel bosco, si apre su un’ ampia area ricoperta da lunghe foglie leggere sembrano piume verdi  alte poco meno di mezzo metro. Mi ritrovo così a camminare dentro ad un fitto tappeto vegetale  che accarezzo con un gesto carico di rispetto verso madre natura.

    Beatrice, è molto provata. Siamo quasi arrivate, me lo sento. Per distrarla dalla fatica, le racconto della mia vita. Osservare la mia compagna di escursione in difficoltà, mi ha ricordato un episodio avvenuto due anni fà. Quel giorno, durante un’escursione, la persona in difficoltà ero io.

    Ascolto con attenzione quando mi racconta qualcosa di lei. Mi rendo conto che entrambe stiamo percorrendo una strada sconosciuta. Un destino comune, una semplice coincidenza, ci ha portato qui e ora in questa escursione. Beatrice, come me, è preda della fatica di vivere. Mi racconta che sta cercando di superare le difficoltà che ha incontrato fino ad ora così da poter iniziare a godere della bellezza che la vita ha ancora da offrirle. Si sta mettendo alla prova, non ho dubbi che ce la farà.

    finalmente in cima al Monte Fossa delle Felci, provo un senso di liberazione. Non ho più la necessità di mantenere il controllo sull’avanzare incerto mio e di Beatrice. Vago così per la sommità del Monte con una punta di delusione nel cuore per le condizioni atmosferiche proibitive.

    Ho visto foto di questo luogo che mostrano un panorama spettacolare:Il mare e le altre isole che compongono L’arcipelago e in lontananza l’Etna. 

    La giornata grigia,  oggi mostra un’isola immersa nella nebbia dovuta ai cumuli di nubi basse e cariche di pioggia che ha iniziato a scendere, sottile e silenziosa. Tutta la bellezza del panorama, è così preclusa alla nostra vista. 

    Eppure mi sento bene e le condizioni avverse non sottraggono energia vitale al mio entusiasmo.

    Mangio velocemente il panino che ho portato da casa mentre il fogliame fitto dell’alto fusto mi ripara quasi del tutto dalla pioggia che sta aumentando la sua intensità. 

    Seduta su una grossa radice, Titti si avvicina a me e reclama tutta scodinzolante un po’ del mio pranzo. Della compagnia è la più giovane, 4 anni è di una dolcezza infinita. Stefania la sua padrona mi ha racconta che pratica Yoga ed escursionismo.

    Ilse invece proviene da Monaco di Baviera. Una pediatra in pensione abituata alle escursioni in solitaria. Si è dimostrata molto allenata nonostante l’età non più giovane. Un modello da cui trarre ispirazione. Una donna minuta, all’apparenza delicata e fragile che mostra un carattere solare ed accogliente. Non si lascia vincere dalle paure e non rinuncia a vivere pienamente i suoi 70 anni.

    In Beatrice, sua coetanea, leggo lo stesso desiderio di vivere pienamente ogni giorno.

    Dopo Titti, sono la più giovane della compagnia.

    Sento in questa comunione, fatta di diversità che si incontrano, una grande energia vitale.

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