Un sogno

Mi lamento sempre di non sognare o perlomeno di non ricordarmi ciò che sogno. Questa cosa è fonte di preoccupazione. Sarà normale? Mi domando spesso. Ciò non significa che le mie notti corrispondono a quelle di un bambino di 8 anni come nel ricordo della mia infanzia, quando andavo a letto alle 9,30 alle 10 piombavo nel buio per ritrovarmi svegliata da mia mamma la mattina alle 7.30 perché era pronta la colazione. Il mio sonno da adulta è breve per la prima parte della notte, profondo, poi il cervello si risveglia e il sonno si trasforma in un riposare nella veglia, con pensieri che si rincorrono e a volte si ripetono. Ho imparato a cercare di rilassare la mente con la respirazione profonda, e anche a comandarla dandole ordini gentili ma perentori. Queste tecniche mi donano un po’ di conforto. Ma non sogno quasi mai. O perlomeno non ho memoria dei sogni che faccio.

Questa notte, mi sono alzata di soprassalto per il rumore di una pioggia scrosciante. Da ultimo, prima di mettermi a letto, mi ero completamente dimenticata di rientrare dal balcone le sabbiette dei gatti. Nella speranza che il danno non fosse irrimediabile mi sono catapultata in cucina. La pioggia torrenziale cadeva dritta e non aveva ancora inumidito le lettiere. Rientrate queste ultime, mi sono rimessa a letto con un pensiero speranzoso di riuscire a riaddormentarmi per non perdere almeno quel paio d’ore di sonno restanti.

È stato un flash, un fotogramma che si è memorizzato e non mi ha lasciata anche dopo il risveglio a notte fonda.

Entravo in un salotto buio. La luce proveniente da un grosso televisore acceso metteva in evidenza il profilo di una persona, presumo una donna, dai capelli chiari e corti, seduta sul divano. Ferma e immobile come un manichino. Pietrificata nei suoi pensieri. Fossilizzata nella sua storia.

Nulla di più.

Al risveglio ci ho pensato. Simbolicamente era una figura messa lì a rappresentare la morte di una vita che non ha lottato per la sua esistenza , ma si è accontentata di una pacifica rassegnazione. Che ha scelto di rassegnarsi al suo destino restando così immobile ad osservare lo scorrere della versione di vita che gli altri vogliono raccontarci.

La paura di restare intrappolata in un corpo e in una mente che non si riesce più a comandare. Anche quando si ha piena facoltà di farlo.

Forse il sogno è arrivato proprio per dirmi questo: che il rischio più grande non è non sognare, ma smettere di lottare per dare forma ai propri sogni. Quella figura immobile sul divano rappresenta tutto ciò che non voglio diventare – una spettatrice passiva della propria esistenza. Il risveglio di soprassalto per proteggere le lettiere dei gatti, invece, è stato un gesto istintivo di cura e responsabilità. Forse è questo il messaggio: continuare a svegliarsi, letteralmente e metaforicamente, per prendersi cura di ciò che conta davvero.

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